malattia professionale burn aut

febbraio 16, 2018

 

BURNOUT Uno sguardo al fenomeno

Il burnout è generalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (possiamo considerarlo come un tipo di stress lavorativo). Generalmente nasce da un deterioramento che influenza valori, dignità, spirito e volontà delle persone colpite.
È una malattia in costante e graduale aumento tra i lavoratori dei paesi occidentalizzati a tecnologia avanzata, ciò non significa che qualcosa non funziona più nelle persone, bensì che si sono verificati cambiamenti sostanziali e significativi sia nei posti di lavoro sia nel modo in cui si lavora.

Storia del burnout
Il termine burnout in italiano si può tradurre come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, è apparso la prima volta nel mondo dello sport, nel 1930, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti.

Il termine è stato poi ripreso dalla psichiatra americana C. Maslach nel 1975, la quale ha utilizzato questo termine per definire una sindrome i cui sintomi evidenziano una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.
La Maslach definisce il burnout come una perdita di interesse vissuta dall’operatore verso le persone con le quali svolge la propria attività (pazienti, assistiti, clienti, utenti, ecc), una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in persone che, per professione, sono a contatto e si prendono cura degli altri.

Il contatto costante con le persone e con le loro esigenze, l’essere a disposizione delle molteplici richieste e necessità, sono alcune delle caratteristiche comuni a tutte quelle attività che hanno obiettivo professionale il benessere delle persone e la risoluzione dei loro problemi, come nel caso di medici, psicologi, infermieri, insegnanti, ecc..

Negli anni nella sindrome del Burnout sono state incluse altre categorie di lavoratori, tutti quei professionisti o lavoratori che hanno un contatto frequente con un pubblico, con un’utenza, quindi non più solo gli “helper” …, possono quindi far parte di tali categorie tanti liberi professionisti o dipendenti: l’avvocato, il ristoratore, il politico, l’impiegato delle poste, il manager, la centralinista, la segretaria ecc..
Il burnout viene considerato, da molti studiosi, non solo un sintomo di sofferenza individuale legata al lavoro (stress lavorativo), ma anche come un problema di natura sociale provocato da dinamiche sia sociali, sia, politiche, sia economiche; la sindrome può infatti interessare il singolo lavoratore, lo staff nel suo insieme e anche istituzioni (per esempio l’organizzazione dei soccorsi in situazioni di crisi come i Vigile del Fuoco, i Militari, le Forze dell’Ordine ecc.).

Le caratteristiche del burnout
La sindrome del burnout ha maggiore probabilità di svilupparsi in situazioni di forte divario tra la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel lavoro.
Molti contesti lavorativi richiedono una forte dedizione ed un notevole impegno, sia in termini economici sia in termini psicologici e, in certi casi, i valori personali sono messi in primo piano a scapito di quelli lavorativi. Le richieste quotidiane rivendicate dal lavoro, dalla famiglia e da tutto il resto consumano l’energia e l’entusiasmo del lavoratore.
Quando poi successo, conquista ed obiettivi (spesso troppo ambiziosi) sono difficili da conseguire, molte persone perdono la dedizione data a quel lavoro, cercano di tenersi a distanza pur di non farsi coinvolgere e, spesso, diventano cinici.

Il burnout ha manifestazioni specifiche:

  • Un deterioramento progressivo dell’impegno nei confronti del lavoro. Un lavoro inizialmente importante, ricco di prospettive ed affascinante diventa sgradevole, insoddisfacente e demotivante.
  • Un deterioramento delle emozioni. Sentimenti positivi come per esempio l’entusiasmo, motivazione e il piacere svaniscono per essere sostituiti dalla rabbia, dall’ansia, dalla depressione.
  • Un problema di adattamento tra la persona e il lavoro. I singoli individui percepiscono questo squilibrio come una crisi personale, mentre in realtà è il posto di lavoro a presentare problemi.

In sintesi le dimensioni tipiche del burnout sono:

  • Esaurimento. E’ la prima reazione allo stress prodotto da eccessive richieste di lavoro o da cambiamenti significativi. Quando una persona sente di aver oltrepassato il limite massimo sia a livello emozionale sia fisico: si sente prosciugata, incapace di rilassarsi e di recuperare, manca energia per affrontare nuovi progetti, nuove persone, nuove sfide.
  • Cinismo. Quando una persona assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e delle persone che incontra sul lavoro, diminuisce sino a ridurre al minimo o ad azzerare il propriocoinvolgimento emotivo nel lavoro e può abbandonare persino i propri ideali/valori. Tali reazioni rappresentano il tentativo di proteggere se stessi dall’esaurimento e dalla delusione, si pensa di essere più al sicuro adottando un atteggiamento di indifferenza, specialmente quando il futuro è  incerto, oppure si preferisce ritenere che le cose non funzioneranno più come prima, piuttosto che vedere svanire in seguito le proprie speranze. Un atteggiamento così negativo può compromettere seriamente il  benessere di una persona, il suo equilibrio psico-fisico e la sua capacità di lavorare.
  • Inefficienza. Quando in una persona cresce la sensazione di inadeguatezza, qualsiasi progetto nuovo viene vissuto come opprimente. Si ha l’impressione che il mondo trami contro ogni tentativo di fare progressi, e quel poco che si riesce a realizzare, appare insignificante, si perde la fiducia nelle proprie capacità e in sé stessi.

Le cause del burnout
In genere (ma superficialmente) si ritiene che il burnout sia in primo luogo un problema dell’individuo, le persone manifesterebbero tale disturbo a causa di difetti/caratteristiche del loro carattere, del loro comportamento o nella loro capacità lavorativa (vedi per esempio competenze). In base a questo punto di vista, sono gli individui a rappresentare il problema, e la soluzione sta nel lavorare su di loro o nel sostituirli.
Vari studi hanno dimostrato invece che il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale opera. Il lavoro (contesto, contenuto, struttura, ecc) modella il modo in cui le persone interagiscono tra di loro e il modo in cui ricoprono la propria mansione. Quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout aumenta.
La difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e di conseguenza il non riconoscere il problema con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita sono manifestazioni ben evidenti.
Inoltre il burnout non è affatto un problema che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia” contagiosa che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’èquipe, da un membro dell’èquipe all’altro e dall’èquipe agli utenti e può riguardare quindi l’intera organizzazione.

Alcune delle cause specifiche sono:

  • sovraccarico di lavoro
  • mancanza di controllo
  • gratificazioni insufficienti
  • crollo del senso di appartenenza
  • assenza di equità
  • valori contrastanti
  • scarsa remunerazione.

Maslach e Leiter (1997) hanno elaborato un nuovo modello interpretativo che si focalizza principalmente sul grado di adattamento/disadattamento tra persona e lavoro. Secondo questi autori la sindrome del burnout ha maggiori probabilità di svilupparsi quando è presente una forte discordanza tra la natura del lavoro e la natura delle persone che svolgono tale lavoro.
Queste discrepanze sono da considerarsi come i più importanti antecedenti del burnout e sono sperimentabili in sei ambiti della vita organizzativa: carico di lavoro, controllo, ricompense, senso comunitario, equità, valori. Maslach e Leiter (1997) hanno ridefinito il burnout come una erosione
dell’impegno nel lavoro. Quest’ultimo, secondo gli autori, sarebbe caratterizzato da tre fattori (energia, coinvolgimento ed efficacia) che rappresentano i poli opposti delle dimensioni del burnout: impegno e burnout non sono altro che le due estremità opposte di un continuum.

Fattori che possono determinare la sindrome

Fattori individuali
Caratteristiche di personalità

  • introversione (incapacità di lavorare in équipe)
  • tendenza a porsi obiettivi irrealistici
  • adottare uno stile di vita iperattivo
  • personalità autoritaria
  • abnegazione al lavoro, inteso come sostituzione della vita sociale
  • concetto di se stessi come indispensabili
  • motivazione ed aspettative professionali

Inoltre esiste un tratto di personalità che è correlato alla sindrome (il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo )

Fattori socio-demografici

  • differenza di genere (donne più predisposte degli uomini)
  • età (primi anni si carriera si è più predisposti)
  • stato civile (persone senza un compagno stabile più predisposte)

Struttura organizzativa
Struttura di ruolo: distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di una organizzazione
Le tensioni sono generate da:

  • ambiguità di ruolo: insufficienza di informazioni in relazione ad una determinata posizione
  • conflitto di ruolo:  esistenza di richieste che l’operatore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale
  • sovraccarico:  quando all’individuo viene assegnato un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che non gli permettono di portare avanti una buona prestazione lavorativa
  • mancanza di stimolazione: si riferisce alla monotonia dell’attività lavorativa
  • Struttura di potere: riguarda il modo in cui si stabiliscono i processi decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo, ovvero la possibilità dell’individuo di partecipare alla presa di decisione
  • Turnazione Lavorativa: La turnazione e l’orario lavorativo possono favorire l’insorgenza della sindrome; questo avviene più frequentemente nel personale infermieristico, essendo questo più soggetto ad un dispendio di energie psicofisiche, rispetto al personale medico.
  • Retribuzione inadeguata

La sintomatologia
La sindrome è caratterizzata da manifestazioni quali nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità delle persone, sia tra di loro sia verso terzi; si distingue dallo stress, (concausa del burnout), così come si distingue dalla nevrosi, in quanto non disturbo della personalità ma del ruolo lavorativo. Dal punto di vista clinico (psicopatologico) i sintomi del burnout sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo, e sottolineano la particolare tendenza alla somatizzazione e allo sviluppodi disturbi comportamentali.
Il soggetto colpito da burnout manifesta:

  • Sintomi aspecifici (stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, irrequietezza, insonnia)
  • Sintomi somatici: insorgenza di patologie varie(ulcera, cefalea, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.)
  • Sintomi psicologici: rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, negativismo, indifferenza, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, isolamento, sensazione di immobilismo, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi.

Tale situazione di disagio molto spesso porta il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo.

Da un punto di vista psicopatologico la sindrome del burnout si differenzia dalla sindrome da disadattamento (sociale o lavorativo o familiare o relazionale), si verifica all’interno del mondo emozionale della persona ed è spesso scatenata da una vicenda esterna.
Per evitare che la sindrome del burnout, deteriori sia la vita lavorativa, sia la vita privata della persona, bisogna intervenire con efficacia.

SEGNI E SINTOMI DELLO STRESS LAVORATIVO

  1. Alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno
  2. sensazione di fallimento
  3. rabbia e risentimento
  4. senso di colpa e disistima
  5. scoraggiamento ed indifferenza
  6. negativismo
  7. isolamento e ritiro(disinvestimento)
  8. senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno
  9. guardare frequentemente l’orologio
  10. notevole affaticamento dopo il lavoro
  11. perdita di sentimenti positivi verso gli utenti
  12. rimandare i contatti con gli utenti, respingere le telefonate dei clienti e le visite in ufficio
  13. avere un modello stereotipato degli utenti
  14. incapacità di concentrarsi o di ascoltare ciò che l’utente sta dicendo
  15. sensazione di immobilismo
  16. cinismo verso gli utenti; atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti
  17. seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate
  18. problemi d’insonnia
  19. evitare discussioni di lavoro con i colleghi
  20. preoccupazione per sé
  21. maggiore approvazione di misure di controllo del comportamento come i tranquillanti
  22. frequenti raffreddori ed influenze
  23. frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali
  24. rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento
  25. sospetto e paranoia
  26. eccessivo uso di farmaci
  27. conflitti coniugali e famigliari
  28. alto assenteismo

Sintomi fisici

  • stanchezza
  • necessità di dormire
  • irritabilità
  • dolore alla schiena
  • cefalea
  • stanchezza agli arti inferiori
  • dolori viscerali
  • diarrea
  • inappetenza
  • nausea
  • vertigini
  • dolori al petto
  • alterazioni circadiane
  • crisi di affanno
  • crisi di pianto

Sintomi psichici

  • stato di costante tensione
  • irritabilità
  • cinismo
  • depersonalizzazione
  • senso di frustrazione
  • senso di fallimento
  • ridotta produttività
  • ridotto interesse verso il proprio lavoro
  • reazioni negative verso familiari e colleghi
  • apatia
  • demoralizzazione
  • disimpegno sul lavoro
  • distacco emotivo

Cosa fare praticamente
Riconoscere la sindrome del burnout non è così facile, spesso si tende a ricondurre il tutto come un problema dell’individuo e non del contesto lavorativo nel suo insieme.

Le organizzazioni quasi sempre ignorano questo problema e questo rappresenta un errore molto pericoloso, in quanto il burnout può incidere pesantemente sull’economia dell’intera organizzazione.
La risoluzione del fenomeno burnout dovrebbe essere affrontata sia a livello organizzativo che a livello individuale, l’organizzazione che si assume la responsabilità di affrontare il burnout, lo può gestire in modo garantirsi il proprio personale produttivo nel tempo.

Un’organizzazione che agisce a sostegno dell’impegno nel lavoro è un’organizzazione forte.

L’aiuto maggiormente efficace per la singola persona è sicuramente un intervento da parte di un professionista competente in materia che possa fornire strumenti cognitivi, favorire una maggiore comprensione/consapevolezza del problema, aiutare a comprendere le relazioni esistenti tra il comportamento personale, il proprio vissuto ed il contesto di vita e lavorativo, modificare il proprio comportamento e i propri atteggiamenti in coerenza con quanto acquisito.

Ma tali interventi sul singolo non sono semplici: il singolo può avere difficoltà a rivolgersi ad uno psicologo per farsi aiutare, ciò a causa sia di pregiudizi verso la categoria di professionisti che si occupa di tali problematiche, sia perché spesso non è in grado di chiedere aiuto e/o si imbatte in altre categorie di professionisti non competenti in tali materie. Purtroppo ancor oggi molti preferiscono pensare di avere un problema organico invece di accettare l’idea di poter avere un problema psicologico anche se causato da fattori esterni.

Interventi per fermare/ affrontare/superare/prevenire il burnout
In letteratura ci sono molte strategie per la prevenzione del burnout. Anche la Maslach indica la necessità di focalizzarsi sia sull’individuo sia sul luogo di lavoro.

Oggi il burnout rappresenta un rischio troppo elevato per ogni contesto organizzativo: i costi economici, la produttività ridotta, i problemi di salute e il generale declino della qualità della vita personale o lavorativa (tutte possibili conseguenze di questa sindrome) sono un prezzo troppo alto da pagare.
E’ dunque consigliabile l’adozione di un approccio preventivo per affrontare il problema burnout.

Il modo migliore per prevenire il burnout è sicuramente puntare sulla promozione dell’impegno nel lavoro. Ciò non consiste semplicemente nel ridurre gli aspetti negativi presenti sul posto di lavoro, ma anche nel tentare di aumentare quelli positivi. Le strategie per aumentare l’impegno sono quelle che accrescono l’energia, il coinvolgimento e l’efficacia, sostenendo i lavoratori, permettendo loro di affermarsi tra i loro colleghi, lasciando loro dell’autonomia nelle decisioni da prendere ed offrendo loro un’organizzazione del lavoro chiara e coerente, ecc.

Esempi di azioni :

Azioni possibili a livello individuale:

  • porsi degli obiettivi realistici
  • variare la routine
  • fare delle pause
  • prevenire il coinvolgimento eccessivo nei problemi della vittima
  • favorire il benessere psicologico e bilanciare frustrazione e gratificazione
  • applicare tecniche di rilassamento fisico e mentale
  • separare lavoro e vita privata, per evitare la propagazione del malessere nella vita familiare

Azioni possibili a livello sociale:

  • rafforzamento della relazione con amici e familiari allo scopo di compensare i sentimenti di fallimento e frustrazione legati alla vita lavorativa,volontariato,ecc.
  • rafforzamento delle relazioni positive con altri soccorritori da cui possono derivare riscontri positivi,sostegno,utili confronti.

Azioni possibili a livello istituzionale:

  • incontri con il personale dei diversi livelli per fluidificare i rapporti e risolvere le conflittualità
  • riorganizzazione del lavoro per renderlo più vario ed interessante
  • promuovere il confronto tra le aspettative delle vittime e gli obiettivi del servizio, per evitare equivoci.

Altri esempi … (.. dimensioni su cui influire per prevenire lo stress..)

  • Caratteristiche dell’ambiente nel quale il lavoro si svolge
  • Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
  • Riconoscimento e valorizzazione delle competenze
  • Comunicazione intraorganizzativa circolare
  • Circolazione delle informazioni
  • Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
  • Clima relazionale franco e collaborativo
  • Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
  • Giustizia organizzativa
  • Apertura all’innovazione
  • Stress e conflittualità.

A livello organizzativo sono necessarie strategie volte a promuovere l’impegno professionale e l’armonia tra operatore e posto di lavoro, di seguito alcuni esempi:

  • condividere la gestione del carico di lavoro con il gruppo
  • creare e alimentare il senso di squadra
  • partecipare attivamente al processo decisionale: personalizzazione dello stile, adattamento degli orari
  • comunicare: chiarezza dei messaggi; obiettivi realistici e credibili
  • riconoscere una ricchezza nelle diversità: cogliere le potenzialità positive nell’incontro con alunni, operatori e colleghi
  • crescere professionalmente: formazione e cultura dell’approfondimento

mobbing e burn aut

febbraio 16, 2018

Vallette, agente di custodia
uccide un ispettore e poi si spara

Vallette, agente di custodia uccide un ispettore e poi si spara

Omicidio-suicidio all’interno della casa circondariale torinese, protagonisti due agenti di polizia penitenziaria. Il gesto maturato durante una lite originata da un tragico equivoco. Morto più tardi in ospedale anche l’omicida, colleghi sotto choc

di ERICA DI BLASI e MEO PONTE

Era convinto di aver subito un torto, ma si trattava di un tragico equivoco. Un errore terribile su presunte (ma ineesistenti) ingiustizie lavorative che ha armato la mano di un assistente capo di polizia penitenziaria all’interno del carcere “Lorusso e Cotugno” delle Vallette e lo ha spinto a uccidere a colpi di pistola un collega ispettore per poi spararsi, morendo un’ora dopo in ospedale dove era stato ricoverato in fin di vita.

L’omicida è Giuseppe Capitano, di 47 anni, sposato e padre di due figli, capo sentinella ovvero responsabile della sicurezza delle mura esterne del carcere (per questo motivo teneva il colpo in canna nella pistola d’ordinanza), la vittima è Giampaolo Melis, di 52, responsabile degli atti giudiziari, anche lui sposato. Diversi i proiettili esplosi. L’ispettore è morto subito, l’uccisore è stato portato d’urgenza al San Giovanni Bosco dove hanno tentato invano di salvarlo. Tra i due non ci sarebbero mai stati contrasti precedenti. Le ricostruzioni per ora più attendibili riferiscono della convinzione di Capitano che Melis avesse adottato nei suoi confronti iniziative disciplinari.

Secondo quanto si apprende, è accaduto poco dopo le 8.15 davanti al bar interno della casa circondariale, dove lo sparatore ha esploso due o tre proiettili contro il collega. Secondo una prima ricostruzione i due agenti si sono incontrati prima di iniziare il turno. Capitano avrebbe detto all’ispettore: “Cosa mi state combinando tu e il comandante?” e poi ha fatto fuoco. Il 52enne ha appena fatto in tempo a dire “Non è vero”, poi è stato colpito all’addome e alla testa ed è morto sul colpo. L’assistente, invece, si è sparato sotto il mento trapassandosi il cranio. Tutto è successo sotto gli occhi di diversi colleghi, che hanno assistito alla scena senza poter intervenire perché la sequenza è stata rapidissima. In quel momento nel corridoio c’erano anche alcuni detenuti che sono subito stati riportati in cella.

Secondo Donato Capece, segretario del sindacato Sappe, la domanda pronunciata dall’omicida prima di sparare “potrebbe spiegarsi con il fatto che sospettasse l’attivazione di un provvedimento disciplinare o di una particolare indagine nei suoi confronti”, anche se “non sappiamo se tali sospetti fossero fondati, se abbia commesso cose particolarmente gravi nell’esercizio del suo incarico”. “Certo è – evidenzia Capece – che quanto accaduto dimostra lo stato di tensione che si vive in carcere e dello stress legato al carico di lavoro”.

“Siamo tutti sconvolti. Questa tragedia per noi è familiare perché qui si passa gran parte della giornata” ha commentato il direttore del carcere delle Vallette Giuseppe Forte. “Erano due persone innamorate del loro lavoro – spiega il dirigente – due persone corrette. Tra loro ci deve essere stato un malinteso, un equivoco… Però avevano ruoli diversi e lavoravano in settori diversi”. In seguito all’accaduto è stata annullata la festa di Natale in programma nel carcere minorile Ferrante Aporti.

“Il carcere oggi vive un momento problematico – ha aggiunto Forte – occorre diminuire la pressione del numero dei detenuti che sono  troppi e alla polizia penitenziaria servono più risorse economiche ma anche più poliziotti”.

I sindacati di polizia penitenziaria hanno subito proclamato lo stato di agitazione, chiedendo al direttore un incontro urgente, un cambio di rotta sulla mobilità interna e la revoca di alcuni ordini di servizio. Polemico il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci: “Sono mesi e mesi che come sindacato denunciamo le violenze, le precarie condizioni igieniche e le gravi tensioni tra il personale nella casa circondariale ‘Lorusso Cutugno’ di Torino, ma tutto è stato inutile

fino alle morti odierne. Adesso diranno che certe cose accadono per  fatti personali, ma non è così, perché la principale responsabilità del disastro penitenziario è di un’amministrazione del tutto inutile, gestita da un vertice altrettanto inutile che fa capo ad un ministro che, mentre i poliziotti penitenziari stavano protestando ieri a Milano, si è rifiutata di incontrarli sostenendo che i ‘suoi’ sindacati li incontra a Roma”.

“Cosa mi state facendo?” Poi gli spari nel bar del carcere di Torino

Sarebbe nata da un diverbio per motivi disciplinari la sparatoria all’interno del bar del carcere delle Vallette, dove un agente di custodia ha ucciso un suo superiore e poi si è sparato. Alcuni testimoni hanno riferito che l’uomo, poco prima di estrarre l’arma dalla fondina avrebbe detto rivolgendosi al superiore:”Cosa mi state facendo tu e il comandante”?

mobbing fenomeno sociale

gennaio 3, 2018

Mobbing: in arrivo fino a 3 anni di carcere e 20mila euro di multa

Assegnata alla commissione giustizia della Camera in sede referente la proposta di legge che introduce il reato di mobbing e straining nel codice penale
uomo indicato da tante mani concetto mobbing

di Marina Crisafi – Una fattispecie penale ad hoc per il mobbing. È quanto prevede una proposta di legge depositata nel 2014, prima firmataria la deputata Maria Tindara Gullo, e assegnata il 13 ottobre scorso per l’esame alla Commissione Giustizia della Camera in sede referente.

Nello specifico, la pdl mira ad introdurre nel codice penale l’art. 582-bis in materia di molestia morale e violenza psicologica nell’attività lavorativa (mobbing e straining).

La ratio della proposta di legge: una tutela ad hoc sul mobbing

Il testo (sotto allegato) si propone dunque di colmare una lacuna dell’ordinamento, perché “la mancanza di una norma specifica che descriva e sanzioni la fattispecie del cosiddetto «mobbing» ha, spesso, determinato l’assoluzione per soggetti che hanno posto in essere condotte ritenute riprovevoli dalla generalità dei consociati, ma prive di sanzione penale specifica” si legge nella relazione.

Oggi, infatti, a meno che le condotte comunemente assimilabili al «mobbing» rientrino in differenti tipologie criminose e fatta salva la possibilità di ricorrere al giudice civile per il ristoro dei danni patiti, “la persona offesa resta priva di adeguata tutela“.

La mancata individuazione circoscritta della fattispecie di reato ha determinato, dunque, prosegue la relazione, “una tutela mutilata dei diritti dei lavoratori, i quali sarebbero meglio e più adeguatamente tutelati dalla presenza di una specifica norma penale che sanzioni tipologie specifiche come il mobbing e la sua figura più attenuata, lo straining”.

Da qui la previsione di una fattispecie incriminatrice ad hoc che costituirebbe “un monito ulteriore rispetto alle già previste sanzioni civili”.

Una definizione di mobbing e straining

Il primo aspetto posto in rilievo dalla proposta è la definizione dei concetti di mobbing e straining.

Il primo da ritenersi configurato, seppur con “varietà di accentuazioni, sulla base delle più recenti sentenze, “come una durevole serie di reiterati atti vessatori e persecutori nei confronti del lavoratore all’interno dell’ambiente di lavoro in cui egli opera, capaci di provocare un danno ingiusto, incidente sulla persona del lavoratore e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psico-somatica, a prescindere dall’inadempimento di specifici obblighi previsti dalla normativa regolante il rapporto di lavoro”. Tali condotte vessatorie possono essere poste in atto sia da superiori gerarchici («mobbing verticale» o «bossing») sia da altri colleghi («mobbing orizzontale»).

Il mobbing, quindi, presuppone, si legge ancora nella pdl, “pluralità di azioni sistematiche e durevoli, sia illecite che singolarmente lecite; che in capo al lavoratore si determini un evento dannoso, causato dalla condotta vessatoria; che sussista un nesso di causalità logica tra condotta ed evento; che sia presente l’elemento soggettivo del «mobber» il quale, approfittando della sua posizione di superiorità, «attacca» la vittima con la sua condotta al fine di emarginarla”.

Diversamente, invece, “se le azioni si presentano come singole, si ha la fattispecie ricadente nel concetto di straining (riconosciuto per la prima volta con la pronuncia del tribunale del lavoro di Bergamo nel 2005, e confermato dalla Cassazione penale n. 28603 del 3 luglio 2013), ovvero un’azione unica e isolata con effetti duraturi nel tempo che determini stress forzato e duraturo tale da provocare effetti negativi nell’ambiente di lavoro”.

Il nuovo reato di mobbing ex art. 582-bis c.p.

Nel merito, la proposta di legge si compone di due articoli, il primo finalizzato alla promozione della tutela dei lavoratori nei confronti dei fenomeni discriminatori all’interno dell’ambiente di lavoro e il secondo che definisce le fattispecie da incriminare ed individua le rispettive sanzioni.

In particolare, il ddl, mira ad introdurre nel codice penale, l’art. 582-bis, rubricato “Mobbing e straining” che punisce, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro o il lavoratore che, in pendenza di un rapporto di lavoro, con più azioni di molestia, minaccia, violenza morale, fisica o psicologica ripetute nel tempo ponga in pericolo o leda la salute fisica o psichica ovvero la dignità di un lavoratore – con – la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 5.000 a euro 20.000“.

Laddove la condotta sia realizzata “con un’unica azione”, e si versi dunque nell’ipotesi dello straining, la pena prevista è da 3 mesi a due di reclusione e la multa da 3mila a 15mila euro.

Il delitto, in ogni caso, è procedibile d’ufficio.

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gennaio 11, 2017

This is an example of a page. Unlike posts, which are displayed on your blog’s front page in the order they’re published, pages are better suited for more timeless content that you want to be easil…Grazie a voi per avermi scelto , mi batterò fino alla fine per dar luce ai diritti dei senza tetto affinchè possano svolgere un avita dignitosa .vincenzo Arruzza

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cittadino muore causa amianto in case IACP

Maggio 28, 2015

Torino: amianto nelle case IACP.Quartiere zona la Barca della Falchera. Donna muore di tumore :mesotelioma pleurico .

Era il lontano 1974 quando si trasferì nel cosiddetto “villaggio delle case bianche”, alla Falchera. Lì visse per 37 lunghi anni, fino alla morte. Una morte giunta nel 2011, al culmine di una lunga e terribile malattia. Mesotelioma pleurico: fu questo il responso dei medici, questo il male incurabile che ha ucciso una settantenne la cui vicenda è finita nel frattempo in un fascicolo d’inchiesta aperto dal procuratore torinese Raffaele Guariniello. All’origine di quella malattia, infatti, vi sarebbe stata la prolungata esposizione all’amianto. Amianto da sempre presente nel “villaggio delle case bianche” della Falchera.  Un caso analogo, con sfortunata protagonista un’altra donna residente in quelle stesse abitazioni e poi deceduta per un tumore causato dal contatto con la fibra-killer, era stato infatti registrato una decina di anni fa, nel 2002.

Le “case bianche” del quartiere torinese della Falchera rappresentano un complesso di abitazioni all’interno delle quali era stata rilevata la presenza di amianto già durante gli anni Novanta. Poi, nel corso dei primi anni Duemila, l’Atc aveva provveduto alla bonifica della struttura abitativa. Una bonifica che evidentemente non è bastata a salvare la vita alle due donne che si sono poi ammalate di mesotelioma pleurico.

Dagli approfondimenti tecnici eseguiti sulle abitazioni finite nel mirino della magistratura era quindi emersa la presenza di amianto di diversi tipi. E durante quegli stessi accertamenti era stato anche documentato il grave e preoccupante danneggiamento del rivestimento del sottopasso al primo piano, con conseguente sbriciolamento della coibentazione (notoriamente pericoloso in caso di presenza di amianto).

Il procuratore Guariniello ha nel frattempo disposto due consulenze di tipo tecnico sulla delicata vicenda. Oltre all’indagine avviata dalla procura, ci sono anche gli accertamenti condotti dall’Asl. Accertamenti, questi ultimi, che dovrebbero stabilire se nel cosiddetto “villaggio delle case bianche” ci siano o meno ancora pericoli per i residenti.

abitava nelle case IACP

Maggio 28, 2015

19 Maggio 2015, ore 11:33

La zingara ha la Porsche e 50mila euro in banca, il Comune le paga l’assegno per i poveri

ESCLUSIVO

La zingara ha la Porsche e 50mila euro in banca, il Comune le paga l'assegno per i poveri ESCLUSIVOPer il Fisco era nullatenente. Per il Comune una povera donna da aiutare con 1.595,88 euro l’anno. Secondo la Procura, R.B., faceva parte della banda di zingari slavi che dal 20 giugno 2007 avrebbe dato l’assalto a una ventina di Tir. E grazie a quei furti, mentre Palazzo Civico le dava il sostegno che spetta ai bisognosi, avrebbe fatto una vita da nababbi, versando decine di migliaia di euro in contanti in banca e acquistando una Porsche Cayenne.
R.B., adesso, è imputata con altri 62 zingari che – stando alla ricostruzione dell’accusa – frequentavano gli istituti di credito con la stessa assiduità di un operatore finanziario. Aprivano e chiudevano conti, cambiavano denaro, mettevano al sicuro centinaia di migliaia di euro acquistando quote di fondi d’investimento. Un’attività quasi frenetica. Che evidentemente dava i suoi frutti. Gli imputati, nel processo che si sta celebrando a Palazzo di Giustizia, sono 63. E la somma sequestrata – tra denaro, gioielli, auto e fondi – si aggira attorno ai 4 milioni di euro.
Il pm è Antonio Rinaudo, che la settimana scorsa ha ottenuto l’acquisizione di una consulenza di un commercialista torinese incaricato di ricostruire la “posizione reddituale e la consistenza patrimoniale” degli imputati, indicando eventuali sproporzioni rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta. Le difese (tra gli avvocati che assistono gli zingari ci sono Domenico Peila, Flavio Campagna, Roberto Capra, Roberto Ariagno, Luigi Tartaglino, Gian Paolo Zancan) potranno ribattere punto su punto con una consulenza propria. Ma il quadro che emerge dall’elaborato del perito della Procura, se confermato, è sconcertante. Perché gli indagati, che in alcuni casi avevano conti in banca a cinque zeri, secondo l’esperto, nello stesso periodo, “parrebbero impossibilitati alla sopravvivenza, in quanto la disponibilità di denaro della famiglia risulta essere, tra l’altro, al di sotto della soglia di povertà”.
Poverissimi per il Fisco, in realtà, secondo l’accusa, erano molto ricchi. Come R.B., la “povera” donna aiutata dal Comune con 1.595,88 euro l’anno per due anni, a partire dal 2007. Mentre Palazzo Civico le versava quel denaro a titolo di “affidamenti fuori pacco”, lei (il 4 marzo 2007) acquistava una Porsche Cayenne Turbo del 2003 del valore di 44.700 euro. E il 23 dello stesso mese, apriva uno dei 12 conti di cui è risultata intestataria e/o delegata ad operare in una filiale di Barriera Milano. All’apertura, ha versato 41mila e 150 euro, tutti in contanti. Poi altri diecimila circa, duemila e 300 sotto la causale “stipendi” dalla Cooperativa sociale per cui lavorava e, naturalmente, la “paghetta” del Comune. Paghetta che nel 2008 metterà su un altro conto in cui, nel corso dell’anno, rimpinguerà con 7mila euro di stipendi e 17mila di “rimborso quote” da un fondo d’investimento. Riassume il perito: “Nell’arco temporale oggetto d’indagine (…) ha avuto una disponibilità economica pari a zero, talvolta negativa, e quindi al di sotto della soglia di povertà, ciò in evidente sproporzione con gli investimenti finanziari fatti”. Il consulente, nelle conclusioni, si sofferma quindi sull’assegno dato dal Comune di Torino e pone una serie di quesiti che suonano come un’accusa. “E’ lecito domandarsi – scrive – sia a quale titolo vengano erogate tali somme, sia quale sistema di controllo venga effettuato dalla Pubblica Amministrazione prima di erogare somme di denaro pubblico a soggetti che, sebbene sconosciuti al Fisco, in quanto in apparenza nullatenenti, in realtà siano intestatari di numerosi rapporti bancari, fondi d’investimento, cassette di sicurezza, autovetture di grossa cilindrata”. La Procura, dal canto suo, tutto quello che ha trovato l’ha posto sotto sequestro. A Palazzo Civico, se vorrà, il compito di rispondere.

linee guida housing

Maggio 19, 2015

Bando senza scadenza

HOUSING SOCIALE PER PERSONE FRAGILI STRATEGIE NEL SETTORE HOUSING

Contributi a fondo perduto Bando senza scadenza

Housing sociale

per persone fragili Investimento del patrimonio (Bando con scadenza a due fasi  Sostenere l’abitare sociale temporaneo

nell’ambito del progetto abitativo sperimentale

(contributo a fondo perduto + FHS + sistema integrato dei fondi)

Bando con scadenza a due fasi Sostenere l’housing sociale nell’ambito del progetto abitativo

“BORGO SOSTENIBILE ”

Fondazione Housing sociale

L’EVOLUZIONE DEL BANDO

L’housing sociale è un ambito ‘storico’ di riflessione e di  intervento per Fondazione Cariplo: in più di 10 anni ha sostenuto 200 iniziative nelle province di riferimento, erogando contributi per circa 40 milioni di euro. Nel 2011 e poi nel 2014 il bando è stato rinnovato: ampliate le tipologie di progettualità finanziabili,in risposta all’evoluzione dei bisogni abitativi delle categorie più fragili organicità sul tema dell’abitare: spazio per gli interventi che  prima pervenivano sui bandi «dopo di noi-durante noi» e

«anziani»  da più di 10 anni 200 progetti 40 ML di €dal 2005 bando senza scadenza  2011 e 2014 revisione bando ampliamento

OBIETTIVI DEL BANDO

1.aumentare l’offerta di alloggi destinati a servizi di ospitalità di  natura temporanea, in grado – ove necessario – di attivare  percorsi di accompagnamento e di sostegno all’autonomia delle  persone ospitate

2.massimizzare l’accessibilità economica dei servizi di ospitalità favorendo così le categorie più deboli e contemporaneamente, ove opportuno:

  1. sostenere la realizzazione di “sistemi territoriali”

di  abitare sociale (in rete l’offerta abitativa esistente  e gli attori coinvolti, percorsi di miglioramento e  integrazione gestionale…) aumento  offerta accessibilità economica sistemi  territoriali

BUDGET 4,5 ML TIPOLOGIE FINANZIABILI

Possibili risposte miste e integrate di offerta

ALLOGGI PER L’AUTONOMIA E INCLUSIONE SOCIALE

alloggi-camere per seconda o terza accoglienza dopo percorsi comunitari…

ALLOGGI PER L’AUTONOMIA «POTENZIALE»

palestre di autonomia, scuola di vita autonoma…

ALLOGGI PER L’AUTONOMIA «RESIDUA»

alloggi-camere a prevalente contenuto abitativo per  persone anziane fragili

STRUTTURE DI RICETTIVITÀ TEMPORANEA

pensionati sociali, alloggi–camere parenti di degenti ospedalieri, padri separati, etc.Servizi flessibili di accompagnamento

Adattabilità: la persona al centro.Temporaneità della risposta

Risposte intermedie tra proprio domicilio, libero mercato e servizi ad alta protezione TRA I CRITERI DI AMMISSIBILITÀ E COERENZA

  • min 25.000euro > contributo > max 500.000 euro
  • contributo non > al 50%dei costi totali
  • si finanzia lostart up di servizi di housing sociale temporaneo, non la presa

in carico di singoli casi!• ammissibili sia icosti ammortizzabili(per es. ristrutturazione, arredi…) sia i costi gestionali di avvio

(per es. selezione-formazione operatori,sensibilizzazione-info enti invianti e comunità, primi percorsi quando struttura non a regime…)

  • non sono ammissibili i costi maturati prima dell’invio del progetto
  • quelli che non prevedono aumento dell’offerta abitativa;
  • strutture comunitarie protette, con presenza educativa continua;
  • alloggi di pronto intervento;
  • alloggi o pensionati per studenti;
  • unità di offerta socio-sanitarie;
  • già realizzati in tutto o nella quasi totalità al momento della domanda di

contributo;• …

Criteri Progetti non ammissibili…ATTENZIONE ALLA

COMPLETEZZA DELLA DOMANDA DI CONTRIBUTO!!!

chiarisce il bisogno scoperto in rapporto all’offerta di quel territorio

(analisi qualitativa, quantitativa, contestualizzata);

identifica chiaramente il/i target e il modello gestionale(carta del servizio, regolamento di ospitalità, quale presidio -accompagnamento, rete inviante…);

individua l’immobile e può contare su un titolo congruo di disponibilità dell’immobile rispetto al contributo richiesto e alla garanzia di continuità del servizio; coglie opportunità di valorizzazione a scopi sociali di

patrimonio immobiliare inutilizzato; dimostra una copertura economica concreta e ipotesi credibili di sostenibilità

(hp di accordi enti invianti, compartecipazione dell’utenza… a regime costi  e ricavi in equilibrio);massimizza l’accessibilità economica del servizio.

UN PROGETTO È BUONO QUANDO…PRE-PROGETTO:

COLLOQUIO ESPLORATIVO MA NECESSARI

INGREDIENTI MINIMI PROGETTO  DEFINITIVO:MATURO E  CANTIERABILE!

Hosing sociale bisogno abitativo

BANDI 2014
La casa e l’abitare sono dimensioni fondamentali per la qualità della vita di ognuno di noi e lo sono ancora di più per le per
-sone che affrontano una particolare fragilità, come chi sta cercando di riconquistare una piena autonomia (per esempio dopo
percorsi di accoglienza protetti o partendo da condizioni di forte
marginalità)
1, chi vuole sperimentare le proprie possibilità di vita indipendente (come persone con disabilità), o chi invece sta perdendo progressivamente la propria autosufficienza (una quota
crescente di persone anziane) o ancora chi ha un’esigenza alloggiativa temporanea e vincoli di reddito (si pensi al fenomeno del
-la migrazione sanitaria, ai lavoratori temporanei, ai separati…).La dimensione abitativa rappresenta uno spazio cruciale sia per
recuperare, mettere alla prova, mantenere la capacità di vita autonoma di chi è fragile sia per affrontare fasi anche molto transitorie di difficoltà, e – se declinata in modo mirato – può migliorare
in modo determinante la condizione di benessere delle persone.Tali bisogni abitativi richiedono attenzioni particolari che van
-no al di là della semplice risposta residenziale e rinviano a soluzioni caratterizzate da uno o più dei seguenti elementi:
• l’offerta di alloggi adeguati ma anche di servizi flessibili di accompagnamento a intensità variabile;
•la temporaneità della risposta, che implica accoglienze con tempi definiti in partenza (brevi o medi) e forme di ospitalitàche escludono la locazione e rinviano a formule diverse
2l’adattabilità della risposta, che mette al centro la persona
perché l’obiettivo di potenziare, sperimentare o mantenere le
sue abilità – in evoluzione nel tempo – passa anche dalla versatilità adattiva del servizio residenziale stesso;
•la capacità di collocarsi in modo intermedio nella gamma di
soluzioni esistenti tipicamente polarizzate tra il proprio domicilio / il libero mercato (privo di presidi) e le risposte ad alta
protezione (spesso eccessiva in partenza o che lo diventa a un
certo punto del percorso individuale).Tutte soluzioni che – soprattutto in questa fase storica – devono avere una forte tensione verso efficacia ed efficienza: possono quindi rispondere in modo più adeguato ai singoli bisogni e con
costi inferiori per la collettività e la persona stessa.Tali risposte di “abitare sociale” sono attualmente insufficien
-ti in molti dei territori ove interviene Fondazione Cariplo. Si registrano difficoltà da parte degli enti, che operano o intendono
operare in tale ambito, nel disporre stabilmente di alloggi, sia nel reperirli a condizioni agevolate sia nel trovare risorse per gli
eventuali adeguamenti; allo stesso tempo, esistono opportunità di valorizzazione a scopi sociali di patrimonio immobiliare inuti
-lizzato o sottoutilizzato. Gli enti affrontano problematiche anche nella fase di avvio gestionale e di strutturazione del servizio, pri-ma che le diverse componenti operative entrino a pieno regime.Fondazione Cariplo è ben consapevole che negli ultimi anni il disagio abitativo si è acuito in generale, estendendosi a fasce sempre più ampie di popolazione a causa dell’evoluzione di al-cune dinamiche sociali ed economiche (carriere lavorative discontinue, percorsi migratori, indebolimento delle reti primarie,crescita del costo degli immobili e degli affitti…). Il sempre più elevato bisogno di alloggi in locazione permanente a costi calmierati, per quelle persone che non riescono ad accedere né al
libero mercato né all’edilizia sovvenzionata, sarà in parte soddisfatto attraverso i programmi varati mediante il Piano Casa
nazionale. Fondazione Cariplo sostiene tali interventi attraverso il Fondo Immobiliare di Lombardia – Comparto Uno (già Fondo
Immobiliare Etico Abitare Sociale 1) gestito da Polaris SGR e attraverso Fondazione  Housing Sociale
3. Tali forme di risposta nonsono quindi oggetto del presente bando Attraverso questo Bando Fondazione Cariplo sceglie quindi disostenere, con contributi a fondo perduto, l’avvio di nuovi interventidi abitare sociale, promossi da soggetti non-profit, capaci di rivolgersi in modo mirato alle categorie sociali più bisognose e di mobilitare e catalizzare risorse locali altrimenti non disponibili.
3  HOUSING SOCIALE PER PERSONE FRAGILI
1 A titolo esemplificativo e non esaustivo: neo maggiorenni in uscita da comunità,nuclei mamma-bambino, vittime di tratta o violenza, rifugiati, detenuti in misura alternativa-ex detenuti, rom e sinti, persone senza fissa dimora…
2 Come per esempio accordi di ospitalità che richiedono una responsabilizzazione e
una compartecipazione graduale dell’utenza, convenzioni che prevedono rette a carico degli enti pubblici o delle famiglie, donazioni libere o rimborsi spese con accordi di comodato…
BANDI 2014
4  Tale tipologia include anche risposte attualmente normate quali alloggi per
l’autonomia di nuclei mamma-bambino, alloggi per l’autonomia di neo maggiorenni in uscita da comunità, alloggi di residenzialità leggera per persone con problemi di salute mentale.concreto, il Bando intende sostenere interventi che dimostrino di:
1) aumentare l’offerta di alloggi e di attivare, ove necessario, per corsi di accompagnamento e di sostegno all’autonomia delle
persone accolte, nonché di integrarsi nelle rete dei servizi;
2)massimizzare l’accessibilità economica dei servizi di ospitalità favorendo così le categorie più deboli.
Contemporaneamente a questi obiettivi legati all’aumento e all’accessibilità di opportunità abitative, il bando può sostenere,
ove opportuno, anche la realizzazione di “sistemi territoriali” di housing sociale, che mirino a mettere in rete l’offerta abitativa
esistente e gli attori coinvolti, e a favorire percorsi di miglioramento e integrazione gestionale; tutto ciò al fine di rendere le
comunità locali maggiormente pronte a intercettare e a rispondere alle varie forme di domanda abitativa, garantire maggiore
sostenibilità economica ai servizi realizzati nonché ottimizzare i tassi di turn over e saturazione dei posti disponibili.
 3 A partire da un’analisi del bisogno e dell’offerta esistente sul territorio di riferimento, che sarà compito dell’ente proponente
fornire in sede di richiesta di contributo, il bando intende pro muovere e quindi sostenere le seguenti tipologie di risposta:
1.alloggi per l’autonomia e l’inclusione sociale
4, rivolti a persone o nuclei in condizione di fragilità socio-abitativa per le quali è possibile ipotizzare un’autonomia nel breve-medio periodo; le persone, seguite da figure educative, sono inserite all’interno di un più ampio percorso di accompagnamento individuale e di reinserimento sociale;
2.alloggi per l’autonomia “potenziale” , rivolti a persone per lequali si ritengono necessari percorsi graduali di avvicinamen
-to alla vita indipendente, in particolare alle persone con disabilità che sperimentano percorsi di “dopo di noi – durante noi”
(palestre di autonomia, scuole di vita autonoma…);
3.alloggi per l’autonomia “residua”, rivolti a persone anziane che si trovano ad affrontare forme di fragilità connesse all’in
-vecchiamento e che necessitano di risposte a prevalente con
-tenuto abitativo che si pongano a un livello di protezione intermedio tra il sostegno al domicilio e l’inserimento in RSA;
4.strutture di ricettività temporanea rivolte a destinatari con esigenze abitative a basso costo, di natura temporanea, anche di
brevissima durata (come parenti di degenti ospedalieri, lavoratori temporanei da fuori Regione…); non è necessario, nella
maggioranza dei casi, alcun tipo di percorso di accompagnamento socio-educativo dedicato.
Sono possibili progetti che contemplino una o più delle tipologie di risposta sopra indicate, eventualmente inseriti in interventi più ampi, ma coerenti, integrabili e fattibili nel loro insieme;ciò al fine di realizzare, ove possibile, forme miste e integrate di
offerta, che rispondano a diverse esigenze abitative in termini di durata, accompagnamento, spazi e quindi a diverse fasce di
bisogno (come ad esempio alloggi per l’autonomia per neomaggiorenni combinati con posti di ricettività temporanea per padri
separati, palestre di autonomia per persone con disabilità intellettiva medio-lieve affiancate da alloggi per persone o famiglie
con limitata capacità reddituale per motivi contingenti…).
LINEEGUIDA Il Bando intende sostenere interventi:
su unità immobiliari chiaramente identificate, che l’ente proponente dimostri di avere in disponibilità con un titolo e per
un periodo di tempo congrui rispetto agli obiettivi previsti e agli investimenti preventivati; verranno fortemente privilegia
ti interventi di valorizzazione a costo contenuto di patrimonio immobiliare inutilizzato o sottoutilizzato rispetto a interventi di
nuova costruzione che prevedono consumo di suolo;con un chiaro modello gestionale che identifichi i beneficiari,
gli enti coinvolti (proprietario, gestore, invianti, risorse utili per l’uscita dall’accoglienza…) e i possibili servizi di accompagnamento ipotizzati.Unitamente all’accurata compilazione online del Modulo progetto (sezioni Progetto, Piano economico e Dati complementari) e all’invio dei documenti standard richiesti dalla
Guida alla pre-sentazione
, i proponenti dovranno fornire un quadro esaustivo in merito alle due componenti progettuali – immobile e gestione
– nella sezione Allegati del Modulo on line, come di seguito specificato.La proposta dovrà quindi contenere, da un lato, documenta
-zione e chiare informazioni rispetto alla componente immobilia
-re del progetto, e in particolare: titolo di disponibilità dell’immobile oggetto dell’intervento.

Bando senza scadenza
HOUSING SOCIALE PER PERSONE FRAGILI

STRATEGIE NEL SETTORE HOUSING
Contributi a fondo perduto
Bando senza scadenza
Housing sociale
p
er persone fragili
Investimento del patrimonio
(
Mission connected investments
)
Fondo Immobiliare Lombardia
Bando con scadenza a due fasi
Sostenere l’abitare sociale temporaneo
n
ell’ambito del progetto abitativo sperimentale
“CENNI DI CAMBIAMENTO”
(sostenuti 11 progetti per € 960.000)
In collaborazione con FHS, Polaris, Comune MI
Combinazione di strumenti
(contributo a fondo perduto + FHS + sistema integrat
o dei fondi)
Figino Borgo sostenibile
Figino Borgo sostenibile
Bando con scadenza a due fasi
Sostenere l’housing sociale
n
ell’ambito del progetto abitativo
“BORGO SOSTENIBILE ”
Fondazione Housing sociale

L’EVOLUZIONE DEL BANDO
L’housing sociale è un ambito ‘storico’ di riflession
e e di
intervento per Fondazione Cariplo: in più di 10 anni ha sostenuto
200 iniziative nelle province di riferimento, erogando contributi
per circa 40 milioni di euro.
Nel 2011 e poi nel 2014 il bando è stato rinnovato:
ampliate le tipologie di progettualità finanziabili,
in risposta
all’evoluzione dei bisogni abitativi delle categorie più fragili
organicità sul tema dell’abitare: spazio per gli int
erventi che
prima pervenivano sui bandi «dopo di noi-durante noi» e
«anziani»
da più di 10 anni
200 progetti
40 ML di €
dal 2005
bando senza
scadenza
2011 e 2014
revisione bando
ampliamento

OBIETTIVI DEL BANDO
1.
aumentare l’offerta di alloggi destinati a servizi di
ospitalità di
natura temporanea, in grado – ove necessario – di attivare
percorsi di accompagnamento e di sostegno all’autonomia delle
persone ospitate
2.
massimizzare l’accessibilità economica dei servizi di
ospitalità favorendo così le categorie più deboli
e contemporaneamente, ove opportuno:
3.
sostenere la realizzazione di “sistemi territoriali”
di
abitare sociale (in rete l’offerta abitativa esistente
e gli attori coinvolti, percorsi di miglioramento e
integrazione gestionale…)
aumento
offerta
accessibilità
economica
sistemi
territoriali
BUDGET 4,5 ML

TIPOLOGIE FINANZIABILI
Possibili risposte miste
e integrate di offerta
ALLOGGI PER L’AUTONOMIA E INCLUSIONE SOCIALE
alloggi-camere per seconda o terza accoglienza dopo
percorsi comunitari…
ALLOGGI PER L’AUTONOMIA «POTENZIALE»
palestre di autonomia, scuola di vita autonoma…
ALLOGGI PER L’AUTONOMIA «RESIDUA»
alloggi-camere a prevalente contenuto abitativo per
persone anziane fragili
STRUTTURE DI RICETTIVITÀ TEMPORANEA
pensionati sociali, alloggi–camere parenti di degent
i ospedalieri, padri separati, etc
Servizi flessibili di
accompagnamento
Adattabilità: la
persona al centro
Temporaneità della
risposta
Risposte intermedie
tra proprio domicilio,
libero mercato e
servizi ad alta
protezione

TRA I CRITERI DI AMMISSIBILITÀ E COERENZA
• min
25.000
euro > contributo > max
500.000
euro
contributo non > al
50%
dei costi totali
si finanzia lo
start up
di servizi di housing sociale temporaneo, non la presa
i
n carico di singoli casi!
• ammissibili sia i
costi ammortizzabili
(per es. ristrutturazione, arredi…) sia
i
costi gestionali di avvio
(per es. selezione-formazione operatori,
s
ensibilizzazione-info enti invianti e comunità, primi percorsi quando
struttura non a regime…)
• non sono ammissibili i costi maturati prima dell’invio del progetto
• quelli che non prevedono aumento dell’offerta abitativa;
• strutture comunitarie protette, con presenza educativa continua;
• alloggi di pronto intervento;
• alloggi o pensionati per studenti;
• unità di offerta socio-sanitarie;
• già realizzati in tutto o nella quasi totalità al momento della domanda di
contributo;
• …
Criteri
Progetti non ammissibili…
ATTENZIONE ALLA
COMPLETEZZA
DELLA DOMANDA
DI CONTRIBUTO!!!

chiarisce il
bisogno
scoperto in rapporto all’offerta di quel territorio
(
analisi qualitativa, quantitativa, contestualizzata);
identifica chiaramente il/i
target
e il
modello gestionale
(carta del
s
ervizio, regolamento di ospitalità, quale presidio –
accompagnamento, rete inviante…);
individua l’immobile e può contare su un
titolo congruo di
d
isponibilità dell’immobile
rispetto al contributo richiesto e alla
g
aranzia di continuità del servizio;
coglie opportunità di
valorizzazione
a scopi sociali di
patrimonio
i
mmobiliare inutilizzato
;
dimostra una
copertura economica concreta
e ipotesi credibili di
sostenibilità
(hp di accordi enti invianti, compartecipazione
d
ell’utenza… a regime costi e ricavi in equilibrio);
massimizza l’accessibilità economica
del servizio.
UN PROGETTO È BUONO QUANDO…
PRE-PROGETTO:
COLLOQUIO
ESPLORATIVO MA
NECESSARI
INGREDIENTI
MINIMI
PROGETTO
DEFINITIVO:
MATURO E
CANTIERABILE!

housing sociale

Maggio 7, 2015

Housing sociale

DSC_0015_BN


Il termine Housing Sociale indica quegli interventi di politica abitativa d’interesse pubblico che vanno oltre i confini dell’Edilizia Residenziale Pubblica e che vedono il concorso di soggetti privati e non profit.
Con tale termine si identificano tutte quelle attività con finalità sociali messe in campo nel nostro Paese da organismi pubblici o privati per affrontare il disagio abitativo, non solo delle fasce in assoluto più deboli della popolazione, ma anche di quella vasta area intermedia di persone che si trovano a fronteggiare il problema abitativo pur potendo contare su un reddito e su una condizione di relativa stabilità.
Fanno parte di quest’area le famiglie monoreddito, lavoratori precari, famiglie monogenitoriali, giovani ed anziani.
L’Housing Sociale rappresenta, quindi, uno degli strumenti tramite il quale sostenere quest’area intermedia di persone che non rientra nei canoni di povertà economica previsti per accedere all’Edilizia Residenziale Pubblica ma che allo tempo stesso non è in grado di misurarsi con il mercato dell’abitare.
L’Edilizia Sociale si caratterizza soprattutto come mercato dell’affitto, ma anche per percorsi finalizzati alla proprietà differita e all’acquisto a riscatto dell’appartamento utilizzato.
In particolare, secondo il Cecodhas, il Comitato Europeo per la promozione del diritto alla casa, Social Housing significa offrire alloggi e servizi con forte connotazione sociale, per coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato (per ragioni economiche o per assenza di un’offerta adeguata) cercando di rafforzare la loro condizione.
In Italia, purtroppo, l’Housing Sociale non ha una definizione giuridica; la sola definizione esistente è quella di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) che fa riferimento all’intervento diretto del settore pubblico nel comparto abitativo (che incide molto poco sull’offerta residenziale, circa il 5%).
Tale carenza legislativa, complica il dialogo con la P.A. e, quindi, complica la realizzazione di progetti di Housing Sociale.
Ad ogni modo, i punti fondamentali su cui battere nei rapporti con la P.A. per la promozione e lo sviluppo dell’Edilizia Sociale, sono: a) le relazioni con le comunità e i residenti; b) la legislazione e il quadro normativo; c) i criteri di assegnazione; d) l’accesso ad aree a costi calmierati, attraverso la pianificazione territoriale e l’identificazione delle aree; e) l’accesso al credito, tramite finanziamenti agevolati e fondi di garanzia; f) le agevolazioni fiscali, regime IVA speciale, costi di costruzione e urbanizzazione agevolati.

aprile 10, 2015

Sgomberati alloggi IACP  occupati dagli anarchici

Operazione della polizia in via Aosta, quattro attivisti denunciati. Danni a porte e finestre

Un’immagina di via Aosta, durante uno sgombero di alloggi occupato in modo illegale

Quattro attivisti di area anarco-insurrezionalista che, il 18 marzo scorso, avevano occupato due alloggi Atc di via Aosta 31 sono stati denunciati dalla Digos. Gli appartamenti sono stati sgomberati stamane dalla polizia, in collaborazione con la Digos. Dopo le operazioni in via Lanino e in corso Novara, si assotiglia il numero delle case occupate dai centri sociali negli ultimi due anni. Gli anarchici, per entrare, avevano spaccato finestre e forzato serrature. Sono in corso indagini per individuare anche i responsabili dei danneggiamenti. L’operazione, con un notevole impiego di uomini e mezzi, si è svolta senza incidenti. Il problema era stato al centro di un esposto dei residenti, contrari alle occupazioni illegali degli alloggi IACP
09/04/2015 CRONACA DI TORINO

ia Spano, sgomberate le case occupate

Ancora in corso il blitz della polizia, strada chiusa da pattuglie di vigili urbani
 Gli inquilini abusivi lasciano le case sotto il controllo della polizia
 04/02/2014 TORINO

La polizia sta sgomberando gli alloggi occupati nei giorni scorsi da attivisti dei centri sociali Gabrio e Askatasuna. Le operazioni sono iniziate poco dopo le 9 e si sono svolte senza incidenti. Tra gli inquilini abusivi (12 famiglie), anche una donna nigeriana che sta per partorire è stata trasferita precauzionalmente in ospedale. Sono stati tutti identificati, mobili e altre masserizie sono state tolti dagli alloggi che saranno riconsegnati ai legittimi proprietari. Stasera alle 17 assemblea degli attivisti per organizzare una contro-manifestazione. Nei giorni scorsi erano state liberate dagli anarchici altre abitazioni occupate abusivamente.

Case popolari, primi sfratti: 52 alloggi occupati da inquilini abusivi

Novara, linea dura del Comune: «C’è chi toglie l’alloggio a chi ne ha davvero bisogno. E chi ha i soldi ma non paga l’affitto calmierato»

E’ emergenza casa tra sfratti e occupazioni abusive

17/09/2013
NOVARA

I primi tre sfratti per morosità da alloggi popolari a Novara sono in programma questo mese, altri seguiranno in autunno.

«Non era mai successo – rivendica l’assessore alla Casa Sara Paladini – che si arrivasse alle dichiarazioni di decadenza e quindi al rilascio di appartamenti occupati da chi può pagare e non lo fa. Stiamo parlando di nuclei famigliari con redditi significativi, anche 40-50 mila euro all’anno, che non solo non versano canoni già ultra calmierati ma nemmeno rispondono alle nostre lettere e ai solleciti. E’ un’operazione sicuramente difficile, che abbiamo avviato perché è necessaria, imposta dai problemi finanziari, ma soprattutto perché è giusta: chi occupa una casa senza titolo la sottrae a chi ne ha diritto».

L’assessore ha illustrato i numeri dell’emergenza abitativa alle commissioni Bilancio e Servizi sociali in sede di esame del preventivo 2013. Un quadro preoccupante, a cominciare dalle occupazioni abusive di alloggi popolari: in città sono 52, di cui 8 del Comune e 44 dell’Atc, con un aumento di 13 negli ultimi sei mesi, su un patrimonio di poco meno di 2500 case, di cui 355 del Comune, 2051 dell’Atc e 56 delle aziende sanitarie, queste ultime sempre gestiti dall’Atc. «A volte bastano poche ore dal rilascio – dice Paladini – perché un abusivo occupi la casa».

Metà degli inquilini del Comune sono morosi: 170 su 355, di cui 70 incolpevoli (non sono in grado di pagare) e 170 colpevoli (potrebbero farlo e non lo fanno). I canoni non pagati pesano a bilancio rispettivamente per 180 e 300 mila euro, ma il Comune poi si deve fare carico anche di una quota di 662 mila euro degli affitti non pagati dagli inquilini morosi incolpevoli dell’Atc. «In totale – dice ancora l’assessore – abbiamo avviato azioni di recupero crediti su 450 nuclei morosi colpevoli, tra inquilini del Comune e dell’Atc: si va dalla cessione del quinto al pignoramento. Ci sono casi in cui le morosità si accumulano addirittura dalla fine degli anni 90. Facciamo di tutto per venire incontro a chi vuole mettersi in regola, accettiamo piani di rientro da 10 euro al mese».

Accanto a chi non paga poi c’è chi aspetta. In attesa della nuova graduatoria, del vecchio bando 2008 su 566 posizioni in 284 non hanno avuto la casa. Nel 2012 le assegnazioni sono state 28; nel 2013, 33. Nella graduatoria di emergenza abitativa, aggiornata ogni quattro mesi, sono in 150, con 29 assegnazioni nel 2013.

A rischio di sfratto 30 famiglie per il nuovo regolamento delle case IACP

L’assessore del Comune di Novi, “Serve una deroga della Regione”

Le case popolari

02/01/2013
NOVI LIGURE

A Novi, 20-30 famiglie residenti nelle case popolari rischiano di perdere l’alloggio. Lo sostiene l’assessore agli Affari sociali, Felicia Broda: «I casi sono numerosi e tutto è dovuto alla mancanza di dialogo da parte della Regione».

La scorsa primavera, ricorda l’assessore, l’amministrazione regionale ha approvato il nuovo Regolamento del Fondo sociale per le case popolari: «Fino al 2011 chi aveva un reddito basso faceva domanda all’ufficio Affari sociali o all’Atc per riduzioni parziali o totali per il pagamento dell’affitto. La Regione e il Comune integravano con fondi propri, a completamento del totale dovuto all’Atc. In questi ultimi tre anni la Regione, che interveniva per quasi l’80% del totale, ha ridotto il contributo a circa il 40%. Di conseguenza è aumentato l’importo del Comune, tanto che nel 2011 la spesa sostenuta da Novi era di circa 160 mila euro. Con il nuovo regolamento, per un reddito da zero a 6 mila euro tutti devono pagare 480 euro l’anno (40 euro al mese), mentre da 6 mila a 10 mila euro va pagato il 12% del reddito (72 euro al mese)».

Un intervento necessario, secondo l’assessore, visto che era necessario verificare l’effettiva situazione economica dei richiedenti, «tanto che nel 2011 l’ufficio Affari sociali ha chiesto alle famiglie di versare almeno due canoni, escludendo però i nuclei che avevano un’effettiva situazione difficile. Buona parte degli inquilini ha versato i due canoni annuali».

La Regione però non avrebbe tenuto in considerazione le numerose famiglie a reddito zero che rischiano di essere dichiarate morose e quindi di perdere l’alloggio poiché non riescono a pagare. «A un anno dall’approvazione del regolamento – conclude Broda – solo a dicembre gli inquilini hanno ricevuto le lettere di pagamento del totale di 480 euro o del 12% del reddito, pena dover pagare per intero l’effettivo affitto ed essere inclusi nella lista dei morosi. Il ritardo nell’attuazione del regolamento, non imputabile alle persone, imporrebbe una deroga di tre mesi per pagare».

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novembre 3, 2014
 vincenzo arruzza ti riporta qualche stralcio di sentenze cass.

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Sentenze – Cassazione Community
Occupazione senza titolo e sfratto per morosità http://wp.me/p2uyqU-3r7
Errore, occupazione senza titolo e sfratto per morosità Corte di Cassazione VI Sezione Civile – 3 sentenza 3 luglio – 23 ottobre 2014, n. 22531 Presidente Vivaldi – Relatore Frasca La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso di convalida di sfratto dove il ricorrente lamentava la “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e dei principi in tela di qualificazione giuridica della domanda giudiziali violazione e falsa applicazione degli artt.630,633 del cp,
28 minuti fa ·

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Data: 27-ott-2014 9.56
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